Quello degli alunni di origine straniera presenti nelle singole classi della scuola italiana è un tema che solleva polemiche e discussioni ormai da tempo. Tornato in auge negli ultimi tempi, dopo le discussioni generate dal Preside di una scuola di Pioltello, nel milanese, che aveva deciso di aggiungere un giorno di festa al calendario delle lezioni per la celebrazione del Ramadam islamico. Ora, il tema di solito viene affrontato con posizioni “ideologiche” preconcette. Invece dovrebbe coinvolgere i professori e le famiglie, perché si tratta innanzitutto di un problema didattico. Il tema principale riguarda la percentuale ideale di alunni stranieri presenti in ogni classe. Il Vicempremier Salvini ha suggerito che questa quota dovrebbe aggirarsi intorno al 20%. (continua dopo la foto)
Al di là delle posizioni ideologiche, per l’appunto, le difficoltà legate alla presenza di troppi alunni stranieri viene affrontata in prima linea dai professori e dalle scuole. Molti di questi ragazzi, infatti, non hanno una sufficiente conoscenza della lingua italiana per poter affrontare un percorso scolastico regolare. Per quanto gli insegnanti si possano impegnare, questo provoca un rallentamento dei programmi ed effettive problematiche durante lo svolgimento delle lezioni. Ed è su questo che il dibattito, a nostro parere, dovrebbe concentrarsi. Peraltro, questo tema era stato già affrontato in passato dall’ex Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. Che in una circolare dell’8 gennaio 2010, fissava nel 30% la percentuale massima di alunni stranieri nelle classi delle scuole elementari. (continua dopo la foto)
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Il limite, però, non è fisso: dipende per l’appunto dalle singole situazioni. E può essere modificato tenendo conto delle effettive competenze linguistiche degli alunni. Gelmini aveva previsto un approccio flessibile, insomma. E forse è proprio da qui che si potrebbe ripartire. Magari discutendo costruttivamente della possibilità di un percorso scolastico inizialmente differente per i ragazzi che, per seguire le lezioni, hanno innanzitutto bisogno di acquisire le adeguate conoscenze della nostra lingua. Il che non rappresenterebbe una discriminazione, come qualcuno sostiene. Ma un modo per permettere ai giovani studenti di integrarsi e di svolgere un adeguato percorso di studi. E agli insegnanti di portare avanti le classi in maniera omogenea, senza rallentamenti o “giochi di prestigio” che non dovrebbero far parte del loro bagaglio professionale.
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