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Stipendi, brutta notizia per gli italiani. Cosa dicono gli ultimi dati. Che anche su tasse e Sanità…

Sembrano sempre più slegate, l’economia “globale” e quella dei cittadini italiani. Giorgia Meloni ha ricordato più volte che il nostro Paese “cresce più della media europea”. Ma a un miglioramento delle condizioni generali, ormai è evidente, non corrisponde quello della vita dei singoli e delle famiglie. Viene quindi da domandarsi per chi dovrebbe funzionare il sistema economico di una Nazione, se nonostante i (modestissimi) passi avanti i suoi abitanti diventano sempre più poveri. Una domanda ancora più urgente dopo la pubblicazione dei dati forniti da Eurostat sull’andamento del costo del lavoro in Europa. E l’ennesimo segno “meno” che precede l’andamento dei salari in Italia nell’ultimo trimestre del 2023 rappresenta una doccia fredda per tutti. (continua dopo la foto)

Il nostro è l’unico Paese europeo in cui gli stipendi non crescono. Anzi, le retribuzioni orarie addirittura calano su base annua dello -0,1%. Il che frena ulteriormente il potere d’acquisto di famiglie e singoli. Perché il calcolo non tiene conto di un’inflazione che nel 2023 ha toccato il 5,3%: un vero “massacro” per le famiglie italiane, doppiamente penalizzate. Mentre nell’Eurozona i salari sono aumentati del 3,4% e in tutta Europa del 4%. Non bastassero questi dati, allargando lo sguardo il nostro è l’unico Paese d’Europa in cui le retribuzioni reali sono calate dal 1990 a oggi (-2,9%). Prendendo come riferimento l’ultimo trimestre del 2019, il calo sfiora addirittura il -10%. Il nostro Paese risulta invece in media con il resto d’Europa per quanto riguarda il costo del lavoro. Ma la spesa a carico del datore di lavoro a causa delle tasse è di 3 punti percentuali superiore alla media Ue. (continua dopo la foto)

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Ciò significa che il costo del lavoro è in linea, ma per effetto delle tasse più alte e degli stipendi più bassi. Non si vede nessun “miracolo economico” all’orizzonte. E non è solo l’ufficio centrale europeo di statistica a rilevare dati non in linea con la campagna di immagine messa in atto dal governo Meloni. Come segnalato dal sito Fanpage.it, anche la Corte dei Conti riserva critiche al decreto legge governativo sul Pnrr. In sintesi, il Governo ha previsto diversi tagli e spostato i fondi da alcuni progetti ad altri. Per la Corte l’intervento è stato positivo laddove ha evitato che il Pnrr non fosse completato il tempo; negativo invece per i singoli interventi. Con cui ha sollevato dei problemi. Per la sanità, ad esempio, sulla quale sussistono “interventi finanziari di particolare rilievo”: come quello da 1 miliardo e 200 milioni di euro, prima destinati al programma “Verso un ospedale sicuro e sostenibile”.  (continua dopo la foto)

Questi stessi fondi sono stati spostati per finanziare altre iniziative, e quindi l‘investimento in sanità è stato al momento eliminato (in tutte le Regioni tranne Trentino-Alto Adige e Campania). Nel decreto Pnrr il governo non parla di taglio perché “ci si limita a modificare la copertura finanziaria del programma, ponendola a valere su risorse nazionali”. I soldi previsti dovrebbero arriverare in futuro da un altro capitolo. Ma c’è un problema. La Corte sottolinea come con questo intervento, oltre a “ridurre l’ammontare complessivo delle risorse destinabili a investimenti in sanità, si incide su programmi di investimento regionali già avviati”. Il decreto quindi promette che i soldi tagliati torneranno in seguito, ma senza indicare dove saranno trovati. Di fatto il decreto legge porta al “rinvio dell’attuazione del progetto a quando saranno disponibili spazi finanziari adeguati”. Sempre che se ne trovino.

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